A Dio stanno a cuore gli umani e la loro casa
Che cosa rimane del Natale in una società che ne fa l’occasione del consumare, del viaggiare e del fare una vacanza che, dopo la pandemia, potrebbe finalmente contribuire a rimettere in ordine i conti, a ridare ossigeno al settore produttivo del turismo? Senza nulla togliere alla serietà del lavoro turistico e alla serenità di una vacanza, senza misconoscerne, oltre al benessere personale, eventuali vantaggi sociali, non sarebbe affatto fuori luogo la domanda: che cosa il Natale, il Natale di Gesù, può dare all’uomo del nostro tempo?
Potrebbe sembrare troppo pretenzioso o di parte, in un contesto caratterizzato dalla pluralità delle culture, delle religioni, delle scelte di vita, affermare che del Natale abbiamo più che mai bisogno. In questi giorni ha attirato la mia attenzione un romanzo autobiografico dal titolo Tutto chiede salvezza. A un certo punto ho letto: “Ecco la mia ossessione, il mio desiderio patologico. Salvezza. Dalla morte. Dal dolore. Salvezza per tutti i miei amori. Salvezza per il mondo”(*). Il Natale è la venuta, non di un salvatore, ma del Salvatore; non di qualcosa, di una parte di noi, ma di tutto l’umano che, nella consapevolezza della propria bellezza e fragilità, si interroga sul senso della vita, che riconosce nello sguardo dell’altro, giovane o vecchio, un invito all’incontro, al dialogo e alla corresponsabilità.