Cito due libri per introdurre queste note su di un problema di scottante attualità, soprattutto in questa fase della pandemia da corona-virus, che sembra stia passando, (ma non così velocemente come vorremmo).
Il primo è del benedettino francese Adrien Candiard, da poco pubblicato sotto il titolo “La cristianità è morta, davvero morta. La speranza di vedere il mondo intero, grazie allo sforzo dei missionari, vivere un poco alla volta al nostro ritmo – battesimo, prima comunione, cresima, matrimonio, funerale cristiano – ha bruscamente deragliato. Noi credevamo che questa fosse la volontà di Dio e che potevamo viverlo al suo passo con cuore fiducioso. Ed ecco che si è fermato.”
Il secondo, sempre di un teologo francese, Dominique Collin, pone alla sua opera il titolo un po’ paradossale “Il Cristianesimo non esiste…ancora”.
Dall’evento della Risurrezione e dalla Pentecoste sono scaturiti i cristiani. Ma ciò che sono diventati nei secoli, corrisponde al pensiero di Gesù? Oggi possiamo dire che il Vangelo è realmente vissuto da coloro che si dicono cristiani? Un cristianesimo della domenica, superficiale e leggero, non è conforme al Regno annunciato da Gesù. La sua Risurrezione è veramente sorgente di vita e di speranza?
Nella pandemia ci siamo sentiti smarriti, defraudati della Messa domenicale, spaesati negli affetti e dalle distanze imposte. Ma è ciò che sta avvenendo da tempo in Italia e in Europa con l’affievolirsi dei tradizionali segni e appuntamenti cristiani. Il Risorto è un personaggio del passato che non dice più nulla?
Paradossalmente, la lenta scristianizzazione è un’opportunità, a condizione che i cristiani ritrovino il Vangelo.
Il cristianesimo può essere compreso solo attraverso la testimonianza personale in cui esso diventa motore della propria esistenza: nella trasposizione da un cristianesimo di appartenenza ad un cristianesimo di esperienza.
Nel cristianesimo di appartenenza è possibile dirsi cristiani senza credere e senza vivere la fede; il cristianesimo di esperienza, invece rimanda sempre ad un eccesso, ad una ulteriorità costituita dal Regno di Dio che ne è valore supremo.
Un cristianesimo di appartenenza vende identità e sicurezze; un cristianesimo di esperienza non smette mai di invitare al rischio della fede.
Il cristianesimo non è bell’e fatto, ci resta da inventarlo pensando in modo diverso ciò che lo ha reso possibile. La vocazione del cristiano non è quella di conservare il Vangelo come opera d’arte antica, ma di reinventarlo come parola capace di parlare agli uomini e alle donne di oggi.
Il cristianesimo non esiste ancora perché nessuna persona, nessuna cultura, nessun sistema di pensiero, nessuna Chiesa può dirsi cristiana senza riconoscere che deve ancora inventarlo pienamente. Il cristianesimo non esiste ancora perché ciò che lo renderà possibile dipende da noi, nella consapevolezza che siamo invitati ad accogliere un dono di cui non siamo padroni.
Il cristianesimo non esiste ancora perché non è un fatto avvenuto, ma un evento che di inserisce nella storia umana aprendo a molte possibilità.
Dall’evento della Risurrezione nasce la novità e la forza della nostra fede che rende possibile aderire al lieto messaggio di Gesù, via, verità e vita, e a realizzarlo.
Armando