Oggi, per noi uomini, per la nostra salvezza....

Nel vangelo che molti di noi hanno già ascoltato tante altre volte e che ascoltiamo ancora una volta  nella notte di Natale, leggiamo l’annuncio dell’angelo ai pastori: Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore che è Cristo Signore…  (Lc 2,11).
E’ l’oggi della nostra salvezza; è l’oggi dell’amore del Padre che Cristo è venuto a mostrarci. E’ l’oggi di una presenza che sempre ci accompagna, l’oggi della condivisione divina con l’umano.

Perché insistere tanto su quest’oggi? Le ragioni potrebbero essere molteplici, ma nel contesto della solenne memoria del Natale del Signore vorrei condividere un interrogativo che da tempo, e molto spesso, mi accompagna nelle mie riflessioni. Come è potuto accadere, e continua tuttora ad accadere, che non pochi di noi, giovani e meno giovani, in particolare giovani adulti, giungessero a considerare la proposta religiosa non più significativa per la loro vita, soprattutto in una fase o periodo della vita che chiede scelte impegnative?
Ciò che non può non metterci in crisi sta nel fatto che molti di loro hanno un ricordo bello, o per lo meno positivo, della loro iniziazione alla vita cristiana e della loro partecipazione, fino alle soglie della giovinezza, alle  molteplici proposte rivolte a loro dalla comunità cristiana, come campi scuola e altro ancora.

Non è mia intenzione farne un’analisi, pur necessaria ed urgente, delle cause, ma piuttosto condividere quanto sia importante, o meglio, quanto ha ancora da dire il Natale alla nostra vita di uomini e di donne, in particolare, nell’attuale contesto sociale, culturale, politico e religioso. Non è forse facile riconoscere che oggi in particolare la nostra umanità è messa in questione o addirittura si trova a rischio di sopravvivenza?
L’interrogativo potrebbe sembrare esagerato. Una cosa, però, è certa: è quanto ormai urgente ripensare il nostro posto di umani nel pianeta terra bistrattato dal nostro comportamento irresponsabile. Abbiamo dato per scontato che, data la centralità dell’umano, punto di arrivo della stessa creazione o dell’evoluzione, la terra non dovesse tanto essere oggetto della nostra cura e custodia, ma potesse essere sfruttata a nostro piacimento e, peggio ancora, al servizio dei nostri egoismi.

Come ben invita alla riflessione Papa Francesco nella sua lettera enciclica Laudato sì, i dissesti ambientali ed ecologici sono andati di pari passo con la mancanza di solidarietà tra gli umani. Lo sfruttamento insipiente ha inquinato la terra oltre ogni misura e ha prodotto scarti umani che denunciano la mancanza di giustizia e di solidarietà. Non abbiamo allora bisogno più che mai, oggi, di sostare nel Natale davanti al bambino Gesù, riconoscendovi il Dio fatto carne, umanizzatosi come noi, per la nostra salvezza?
Lui parla, anche oggi, a ciascuno di noi e all’umanità intera, per assicurarci che il suo disegno è stato e sempre sarà  la nostra salvezza. Fattosi uomo, si propone a noi come colui che cammina con noi, condivide l’avventura umana dell’autentico progresso. La sua parola continua a risuonare anche oggi come esortazione a saper riconoscere e valorizzare ciò che di bello e di buono c’è in noi avvertendoci, però, anche della nostra fragilità e del rischio che possiamo correre quando viene meno la capacità di discernere ciò che è il fine, la via sicura della realizzazione umana, da ciò che deve restare strumento.

Non si dà forse il caso di una riflessione morale che è in affanno, anzi che sembra in continuo ritardo, nel prendere atto delle nuove possibilità che le biotecnologie hanno di condizionare profondamente, e perfino modificare, l’umano? Tutto il nuovo rappresenterà davvero un balzo in avanti o una minaccia per l’integrità della vita e della dignità umana? Ogni scoperta potrà rappresentare un progredire in avanti, ma lo sarà nella misura in cui sapremo tradurla a favore dell’uomo, di ogni uomo.

Di fronte a questioni così serie non possiamo, certo, pretendere che il Natale di Cristo ci dia indicazioni pratiche, ma di sicuro ci dice quanto sia preziosa la nostra vita da chiederci, oggi in particolare, un di più di riflessione affinché ciò di cui disponiamo non sia contro l’umano, ma bensì a suo favore.
Nulla più di un Dio fatto carne, bello e fragile come noi, può dirci quanto sul serio dovremo prenderci cura della nostra vita e di quella di ogni altro. Ma non solo, viene a dirci che la strada maestra di questa cura non può non essere se non quella che non dissocia affatto nuove scoperte, nuove possibilità e nuove risorse dall’autentica solidarietà tra tutti gli umani.

Questa presa di coscienza dovrebbe renderci ancora più consapevoli dell’importanza della missione della chiesa nel nostro tempo, chiamata a testimoniare l’oggi della salvezza di Dio a favore dell’umano. Questo oggi la chiama a rinnovarsi, a liberarsi da tutto ciò che le impedisce di essere quella comunità cristiana nella quale, tutti consapevoli che siamo noi questa chiesa, questa comunità, ci esercitiamo nella fraternità.
Sì, più che mai la comunità cristiana, ogni comunità, la nostra, grazie a una partecipazione assidua, dovrebbe diventare un’autentica palestra di fraternità; luogo di allenamento per resistere all’assalto dell’individualismo che corrode non solo il tessuto ecclesiale, ma anche quello sociale e che non cesserà di fare della nostra meravigliosa terra il luogo dello sfruttamento. Questo dovrebbero diventare anche l’obiettivo che ispira, o il principio guida, delle nostre scelte educative in famiglia, a scuola, nella società; non scelte che rimangono a livello di principio, ma che si traducano nei gesti e nelle parole, nelle relazioni della nostra quotidianità.

Don Giovanni
 


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