Conoscere, vivere e testimoniare il nostro incontro con il Risorto

Nella seconda domenica di Quaresima, all’ascolto e alla meditazione della comunità cristiana, viene proposto il racconto della trasfigurazione.  Gli evangelisti ci narrano la reazione stupita di Pietro e la sua proposta di fare tre capanne con l’intento di rimanere sul monte. E’ bello essere qui! (cf Lc  9,28-36 ), esclama l’apostolo. Non si fermano però sul monte; una volta scesi, Gesù annuncia loro per la seconda volta la sua passione, morte e risurrezione. Ci sembra chiaro che lo stare con Gesù non può prescindere dal seguirlo là dove, innalzato da terra, manifesta pienamente la sua identità di Figlio di Dio e l’autentico volto di Dio, il volto del Padre buono e misericordioso.

Prendo spunto da questo racconto evangelico per mettere a fuoco che la proposta formativa offerta dalla comunità cristiana ha bisogno di saper integrare momenti o aspetti diversi. Di certo, in un tempo iperconnesso, ma povero di relazioni autentiche, che veicola una miriade di informazioni nelle quali però è difficile discernere la notizia vera da quella falsa, che sovrabbonda di parole dette, di slogan, di messaggi, ma nel quale mancano l’ascolto e il dialogo, i momenti comunitari dedicati alla formazione non possono non rappresentare occasioni opportune per ascoltare e raccontarsi gli uni agli altri anche dal punto di vista delle ragioni del nostro credere.

A ciò sembra accompagnarsi una certa insofferenza per riflessioni approfondite, per una ricerca, anche faticosa, rivolta a dare solidità al nostro dirci cristiani. Se è vero che un tempo catechesi voleva dire scuola di dottrina cristiana e conoscenza del catechismo, ora sembra prevalere l’attenzione alla dimensione esperienziale, a ciò che si sente raccontando stati d’animo ed emozioni, dal punto di vista esistenziale, spirituale e religioso.

Ritornando al racconto della trasfigurazione mi sembra che prevalga è bello stare qui alla fatica del camminare verso Gerusalemme, alla sequela di Gesù Cristo.  Che senso ha, può dire qualcuno, andare ad un incontro di catechesi per ascoltare cose del passato, della vita di Gesù Cristo? Non è forse più importante, in un tempo così arido di ascolto, ascoltarci? Non negando affatto valore a questa esigenza non è meno importante conoscere le ragioni del nostro essere cristiani, ritornare all’evento che ne sta all’origine. L’apostolo Pietro invitava già allora i cristiani a essere pronti a rendere ragione della fede e della speranza cristiana (cf 1Pt 3,15). Notiamo: a rendere ragione e non semplicemente mi piace, mi fa star bene o ancora mi sento bene, magari pregando o partecipando a una celebrazione. Il rendere ragione dell’apostolo è anche il frutto di un conoscere e di un cercare, non raramente faticoso, che chiede anche l’umiltà della ricerca e dell’ascolto della testimonianza di altri.

Perché ogni cammino di iniziazione cristiana non può fare a meno dell’evangelizzazione?  E in che cosa consiste se non nel proclamare ad alta voce che Gesù è il Cristo, il Crocifisso Signore, nel quale Dio si è rivelato a noi come Padre che si prende cura di tutti i suoi figli? Indubbiamente, c’è il rischio che la risurrezione di Gesù Cristo sia un fatto relegato nel passato e che significhi ben poco per la nostra vita se come comunità cristiana ci riduciamo a fare solo un discorso catechistico che spiega una verità di fede. Una comunità cristiana è chiamata a mostrare nella quotidianità, soprattutto, anzi necessariamente, nelle relazioni fraterne che l’incontro e il credere nel Crocifisso Signore può cambiare la vita, infonderle speranza e gioia.

Fin dall’inizio, però, l’incontro con Gesù Cristo risorto viene raccontato e trasmesso per mezzo dell’annuncio e, molto presto, messo anche per iscritto, assieme alla testimonianza di uno stile di vita autenticamente fraterno e alla liturgia. Gli Atti degli Apostoli ci testimoniano come fossero inseparabili l’insegnamento degli Apostoli, lo spezzare il Pane, la comunione fraterna e la preghiera (cf Atti 2,42). Il celebrare, infatti, non è mai, o non dovrebbe mai essere, slegato dal proclamare il Vangelo di Cristo e dal darne testimonianza con la vita.  Il celebrare scade in una vuota o formale ritualità se non vi riconosciamo la presenza del Risorto e il vangelo viene privato della sua forza di rinnovamento della vita e della società. Oggi, la comunità cristiana non può accontentarsi di offrire esperienze belle e piacevoli, occasioni per stare bene insieme (anche queste!), ma dare solidità al credere e ragioni forti per vivere solide e perseveranti relazioni fraterne.

Una piccola aggiunta. Il “mi piace”, “I like”, lasciamolo pure alla logica del consumare emozioni e a coloro che cercano il facile consenso della gente.  Di sicuro, le emozioni danno sapore all’esistenza ma non bastano. Giocare con le emozioni, gli stati d’animo, le paure perfino artificialmente indotte, le insicurezze, non ci aiuta ad essere più liberi e più consapevoli di fronte ai problemi dell’esistenza e tanto meno a fare scelte sapientemente motivate per il bene nostro e di tutti.

Don Giovanni


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